Buddha
Il fondatore della fede buddista è conosciuto come il Buddha. Ma questo fu il nome che ricevette nella seconda fase della sua vita, quando, dopo molto tempo passato a meditare, egli conquistò l’illuminazione e vide la verità in tutte le cose. La parola Buddha significa appunto “l’illuminato”. Questa è la storia della vita del Buddha. Il Buddha nacque verso il 560 a.c. nel villaggio di Lumbini, al confine tra India e Nepal. Suo padre, il re Sudhodana, governava un piccolo regno locale, e sua madre era la regina Maya, una donna bellissima e pura. Una notte la regina sognò che un grande elefante bianco con un fiore di loto nella proboscide la visitava durante il sonno. Dieci mesi dopo in un boschetto, nel plenilunio di maggio, da un fianco di Maya nacque il Buddha. Gli venne dato il nome di Siddhartha Gautama. Gli dèi e il mondo intero esultarono perché sapevano che quello non era un principe qualsiasi. Poco dopo la nascita del figlio, re Sudhodana consultò gli indovini. «Ditemi» chiese. «Qual è il futuro che il destino ha in serbo per mio figlio?. «Maestà» risposero «se Siddhartha Gautama rimane in questo mondo, diventerà il più grande statista che sia mai esistito, imperatore di tutta l’India. Ma…» continuarono «se sceglie di lasciare il mondo per una vita santa, diventerà un predicatore senza eguali.» Il re voleva che il figlio diventasse un grande imperatore e non un monaco, e fece del suo meglio per assicurarsi che questo accadesse. Il giovane Siddhartha condusse una vita di lusso nel palazzo del padre, al riparo dal mondo esterno.
Aveva begli abiti, buon cibo, splendidi cavalli, insomma, tutto quello che poteva desiderare. Quando fu cresciuto sposò la bella principessa Yashodara, ebbero un figlio, Rahula, e la loro vita poteva essere colma di gioia. Ma Siddhartha si sentiva irrequieto. “Dev’ esserci altro nella vita, al di là di tutte queste raffinatezze” pensava. “Devo lasciare il palazzo e vedere con i miei occhi.” Gli indovini avevano consigliato al re Sudhodana di non permettere che il figlio vedesse vecchi, malati o defunti: ecco perché Siddhartha era tenuto cosi ben protetto dentro il palazzo. Ma un giorno Siddhartha uscì a fare una passeggiata in carrozza, e per la prima volta in vita sua vide la sofferenza e l’infelicità: vide un fragile vecchio che zoppicava sul ciglio della strada, poi vide un malato il cui corpo era così contorto dal dolore che quasi non riusciva a camminare, infine vide un corteo funebre, con una famiglia in lacrime intorno alla salma del parente morto. Un vecchio, un malato e un defunto. Siddhartha chiese al cocchiere che cosa significasse tutto questo. La risposta fu semplice. «È solo quello che succede a tutti gli uomini, prima o poi» gli fu detto. «Tutti diventiamo vecchi, qualche volta ci ammaliamo e alla fine moriamo. È la vita.» Nel suo viaggio successivo, Siddhartha vide un monaco con la testa rasata: indossava una tunica gialla e portava la ciotola dell’ elemosina. L’uomo appariva sereno e libero da ogni problema. «Seguirò l’esempio del monaco» decise Siddhartha «e cercherò la verità. Devo scoprire in che modo la gente può superare le sofferenze della vita.» Così una notte, col favore delle tenebre, il principe Siddhartha Gautama lasciò il palazzo del padre, lasciò sua moglie e suo figlio e tutti i suoi beni terreni e s’incamminò per il mondo. Per sette anni vagò alla ricerca di verità e conoscenza.
Due famosi maestri gli insegnarono lo yoga per esercitare la mente e il corpo, ma questo non lo aiutò molto. Poi alcuni santoni gli dissero che solo una rigida vita di preghiera e digiuno poteva condurlo alla verità. Ma questo non diede altro risultato che farlo ammalare. Così lasciò i santoni e riprese il suo cammino. Raggiunse un luogo chiamato Bodh Gaya, e si sedette a meditare sotto la vasta chioma di un fico. Per quarantanove giorni e quarantanove notti rimase immobile, assorto in meditazione. Poi aprì gli occhi e capì di aver finalmente trovato la verità che andava cercando. Adesso era il Buddha, l’illuminato. Ora sapeva che gli uomini soffrono perché non sono mai contenti di quello che hanno. Vogliono sempre qualcos’altro. Non sono mai soddisfatti, mai in pace con se stessi.«Devo insegnare agli uomini nuovi modi di comportarsi e di pensare» si ripromise il Buddha. «Così non desidereranno ciò che non hanno, e non soffriranno per il fatto di esserne privi.» E fu quello che fece. Nei successivi quarantacinque anni, fino alla morte che lo colse all’ età di ottant’ anni, il Buddha viaggiò per tutta l’India, vivendo come un monaco e predicando il suo messaggio. Ben presto gli si unì un gruppo fedele di monaci e monache, incluso il proprio figlio Rahula, che camminava con lui e l’aiutava a diffondere le sue sagge parole.
Poco prima di morire, il Buddha si congedò dagli amici e dai seguaci affranti dal dolore con queste parole: «Tenete ben stretta la verità, come fareste con una lampada, e lottate per liberarvi dal male.»
Il primo periodo
Buddha, discendente della casta dei guerrieri Sakya, ebbe nome di Siddharta; prima della sua nascita la madre ebbe un sogno premonitore, e dopo il parto morì; il bimbo venne allevato dal padre nel più grande sfarzo. Siddharta sembrava mostrare una precoce tendenza contemplativa, mentre il padre l’avrebbe voluto guerriero e sovrano anziché monaco, sicché si sposò giovane, ebbe un figlio e partecipò alla vita di corte.La tradizione vuole che il Buddha abbia intrapreso la ricerca dell’illuminazione a 29 anni quando, incontrando un vecchio, un malato e un morto, comprese improvvisamente che la sofferenza accomuna tutta l’umanità. Dopo essersi imbattuto in un monaco mendicante, calmo e sereno, stabilì di rinunciare alla famiglia, alla ricchezza e al potere per cercare la verità.Siddharta vagabondò per diversi anni, soggiornando presso alcuni asceti, poi si stabilì nei pressi dell’attuale Gaya con cinque seguaci, trascorrendovi quasi sei anni nel più rigido ascetismo, fino quasi a morirne; comprendendo infine l’inutilità del digiuno, tornò gradualmente a una dieta normale e si alienò così le simpatie dei suoi discepoli, che videro nel suo gesto un segno di debolezza.
L’illuminazione
All’età di 35 anni, al Buddha, seduto sotto un fico sacro a Bodh Gaya, si spalancò l’illuminazione perfetta: egli meditò una notte intera fino a raggiungere il nirvana. Buddha conseguì, con la meditazione, livelli sempre maggiori di consapevolezza: afferrò la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell’Ottuplice sentiero e visse a quel punto la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre dal ciclo della reincarnazione (vedi Trasmigrazione): dotato di sovrumana intelligenza, trascorse le settimane seguenti a contemplare i vari aspetti del dharma (legge) che aveva compreso.
Il Buddha come maestro
Il Buddha decise di predicare il dharma recandosi dapprima a Benares (Varanasi) dai suoi antichi discepoli, che lo accolsero come maestro e divennero monaci; tenne poi il suo primo sermone, in cui espose le dottrine fondamentali del buddhismo, come il principio fondamentale della “via di mezzo”, disciplina monastica che equilibra gli estremi della rinuncia a se stessi e dell’indulgenza verso se stessi. Accompagnato dai discepoli, Buddha percorse la valle del Gange, diffondendo la sua dottrina e fondando comunità monastiche che accoglievano chiunque, indipendentemente dalla condizione sociale. Si stabil` quindi in un monastero donatogli da un facoltoso ammiratore a Savatthi (sanscrito, Sravasti). Sebbene I monasteri a lui ispirati sorsero numerosi nelle principali città lungo il Gange, la sua lunga carriera di maestro e guida spirituale non fu del tutto esente da problemi, tentativi di scisma e persino di assassinio.
La morte e la fama del Buddha
Dopo una vita dedicata all’attività missionaria, Buddha morì a Kusinagara, in Nepal, a ottant’anni. A quanto pare predisse la sua morte e ne avvisò i discepoli, ma rifiutò di fornire indicazioni precise riguardo all’organizzazione futura e alla diffusione della sua dottrina, sostenendo di aver già insegnato loro quanto fosse necessario per la salvezza.Il Buddha fu una figura straordinaria; fondò una nuova, grande religione e, ribellandosi agli estremi edonistici, ascetici e spiritualistici della disciplina religiosa coeva e al sistema delle caste, influenzò profondamente lo stesso induismo. Il suo rifiuto della speculazione metafisica e il suo pensiero logico introdussero un’importante tendenza analitica che era sempre mancata nella tradizione indiana.
Forme di culto Buddista
Il Buddismo deriva il suo nome da Buddha; tuttavia il significato della parola denota colui che sa, il veggente. La parola Buddhi in Sanscrito, essendo il nome della facoltà nell’uomo che sa, che vede, e quindi distingue e discerne fra cose ed esseri. Non è certo che Buddha insegnasse ai suoi seguaci a venerare la sua propria Immagine come viene fatto oggi. In ogni tempio dei Buddisti, e nei loro monasteri, sì trova la statua di Buddha in ogni misura, in oro, argento, ottone e rame, dove Buddha è seduto con le gambe incrociate nella posa mistica. Nessuna casa di un Buddista, nessun posto sacro è senza la sua Statua. E sebbene le quattro importanti Genesis (scritture) dei Buddisti siano perdute, e siano sparite molto tempo fa, non si può ancora perdere di vista la fragranza della sua Filosofia e morale. Sebbene sembri essere idolatria, tuttavia la sua immagine, come un simbolo, inspira, non soltanto i suoi devoti, ma ogni mente riflessiva, poiché mostra equilibrio, quiete, pace, assorbimento interiore, purità di carattere, bellezza di personalità, gentilezza, tenerezza, un’attitudine calma, e perfetta saggezza. Come oggi in paesi civilizzati le statue degli eroi, dei reali, dei generali dell’esercito, dei politici, poeti, scrittori e musicisti, si trovano esposte dovunque, e la statua della Libertà ricorda all’America della libertà nazionale, così per un Buddista la statua di Buddha racconta la liberazione spirituale. Perché dovrebbe essere considerato peggiore se i Buddisti hanno davanti a sé la statua del loro Ispiratore, la cui immagine eleva le loro anime verso gli ideali più alti, e la vita di rinuncia e negazione di se che il loro maestro condusse? Il Buddismo che è il rivale ed il figlio del Bramanesimo, non poteva facilmente lasciar fuori l’influenza della religione del suo genitore. Sebbene il Buddismo neghi di credere in tutto ciò che non è dimostrato dalla logica, come Dio, l’anima, la meditazione o l’aldilà, tuttavia l’adorazione delle immagini dei Bramini esiste ancora fra i Buddisti nell’adorazione di Buddha, il credere nella reincarnazione e la legge del karma possono essere trovati viventi fra i Buddisti.
Santuari e stupa
I buddhisti visitano santuari e templi per rendere omaggio al Buddha e per meditare insieme agli altri fedeli. Alcuni di essi hanno addirittura un piccolo santuario in casa. I primi santuari buddhisti erano 10 tumuli a cupola ” gli stupa”, costruiti per contenere le ceneri del Buddha ( i resti della sua cremazione). Altri stupa furono poi costruiti per contenere altre sacre reliquie, come copie dei sacri testi e le ceneri dei monaci importanti. Successivamente gli stupa si trasformarono in edifici complessi ed elaborati realizzati in stili diversi, e molti oggi fanno parte di grandi complessi religiosi.
Jainismo
Il Jainismo è una religione che è molto diffusa in India, il cui germoglio lo si può trovare nel Buddismo. Questo aspetto del Buddismo è veramente ammirabile specialmente nel suo insegnamento: “L’innocuità è la sola religione”. I Jaini sono vegetariani, ma oltre a ciò non fanno del male neanche alla più piccola forma di vita. Tanti fra loro stanno attenti a non fare del male perfino agli scarafaggi, alle zanzare, le formiche, le api, scorpioni e serpenti che si trovano così spesso nei paesi tropicali. Tutta la loro morale è basata sul principio dell’innocuità, e i loro preti fanno ancora meno male degli altri seguaci del Jainismo. Per nuocere ancora meno evitano di portare delle scarpe, e con ciò evitano due mali – uno è che il cuoio che viene usato per fare le scarpe causa la morte di cosi tante vite e l’altro che camminando con delle scarpe si schiacciano e uccidono più vite che camminando a piedi nudi. Alcuni fra di loro sono visti con un piccolo pezzo di tela legato sulla bocca, perché camminando con la bocca aperta, come così tanti fanno, così tante piccolissime vite sono attirate dentro la bocca. C’è anche un’altra ragione, cioè trattenersi il più possibile dal parlare. Per lo più la disarmonia e tanti altri difetti sono causati dalla loquacità, che è spesso inutile.
Regole etiche di vita
I precetti fondamentali del Buddhismo, per quanto riguarda le regole etiche di vita (sila) sono divisi in tre gruppi: i cinque divieti, gli otto comandamenti e le dieci condotte morali. In pratica si tratta degli stessi comandamenti, cui ogni volta se ne aggiungono altri.
I cinque divieti sono:
- non uccidere alcun essere vivente,
- non prendere l’altrui proprietà,
- non toccare la donna altrui,
- non dire menzogne,
- non bere bevande inebrianti.
Gli otto comandamenti includono i suddetti cinque divieti, cui se ne aggiungono altri tre:
- non mangiare cibo nei tempi non dovuti;
- astieniti dal canto, dalla danza, dalla musica e da ogni spettacolo indecente; non ornare la tua persona con ghirlande, profumi e unguenti;
- non usare sedili alti e lussuosi.
Gli ultimi due precetti morali sono:
- non adoperare letti grandi e confortevoli;
- non commerciare cose d’oro e d’argento.
Naturalmente questi precetti diventano tanto più esigenti quanto più uno cerca di purificarsi spiritualmente: il divieto di uccidere si estende fino a tutti gli animali, nessuno escluso; l’acqua può essere bevuta solo se filtrata; non si può usare l’aratro perché potrebbe ferire i vermi della terra; la castità deve essere completa; la povertà dev’essere assoluta ecc.È bene però precisare che per raggiungere la Liberazione, più che una vita moralmente ineccepibile, la quale al massimo può dar luogo a un buon karman, il Buddhista deve dedicarsi alla Meditazione, che comporta un’energica disciplina ascetica (yoga), la cui esperienza in un certo senso va al di là di ogni morale. L’io deve liberarsi dell’Illusione circa la realtà del mondo e soprattutto circa la sua personalità, per sprofondare nel “non-io”, nel “non-essere”.
Virtù morali
Quanto alle virtù morali che deve seguire il Buddhista, esse in sostanza si riducono a quattro:
compassione (percepire dentro di sé la gioia e il dolore dell’altro);
amorevolezza verso tutti gli esseri viventi;
letizia e considerazione del lato positivo delle cose;
imparzialità nel considerare la realtà
La condizione della donna
Durante la sua predicazione, il Buddha sostenne sempre una fondamentale misoginia, al pari di tutti i filosofi dell’antichità. La donna era vista come una fonte di tentazione del tutto incompatibile con la vita ascetica; essa ovviamente non veniva condannata come persona, ma piuttosto come potere di seduzione che porta a quell’attaccamento per la vita che, attraverso le generazioni, perpetua la condizione di “essere nel mondo” e vincola, di conseguenza, l’individuo al suo dolore, alla sua cieca ignoranza, alla ruota delle rinascite. Poiché l’amore e l’unione sono -secondo Buddha- le forme più primordiali in cui si manifesta la sete di vita, il Buddhismo classico non poteva che negare alla donna la possibilità di giungere al Nirvana: l’unica condizione, per una donna, era quella di estinguere in sé tutto ciò che è femminile, cioè in sostanza sforzarsi di sviluppare un pensiero maschile al fine di poter rinascere come “uomo”. Solo dopo molte discussioni e polemiche, il Buddha consentì ad ammettere le donne fra i suoi discepoli, in comunità ovviamente separate, soggette a regole analoghe e, in più, alla sorveglianza da parte dell’abate della più vicina comunità monastica maschile, con l’obbligo inoltre di obbedire ai monaci maschi di qualunque età. A queste condizioni era possibile anche per loro raggiungere il Nirvana. Questa forma di maschilismo è venuta attenuandosi col tempo, fino al punto che si è cominciato a produrre, sul piano artistico, delle figure mitiche del Buddha con aspetti femminili. Va detto tuttavia che il Buddhismo non interviene negli aspetti della quotidianità e neppure nelle vicende fondamentali della vita, come il matrimonio e la nascita dei figli, i cui riti si basano sempre su usanze locali. Le regole di condotta previste dal Buddhismo per la vita matrimoniale sono essenziali, basate sostanzialmente sul buon senso e quindi praticabili da chiunque.
Fiaba buddhista ( Il dono più prezioso)
Seduto sotto un grande albero fiorito, il Buddha insegnava fin dal primo mattino, e centinaia e centinaia di persone venivano ad ascoltare le sue parole. Posata accanto a lui, teneva una campanella di cristallo. Un giorno un discepolo gli domandò a che cosa servisse quella campanella . – La farò tintinnare quando si presenterà qui una persona di grande generosità, – rispose il Buddha.
Queste sagge parole giunsero all’ orecchio di un re molto potente.- Sarò coperto di gloria se il Buddha in persona mi designerà come l’uomo più generoso, – pensò. Il sovrano fece caricare sulla groppa di dieci elefanti delle enormi ceste traboccanti di pietre preziose, stoffe rare e monete d’oro e d’argento. Poi si mise in cammino per deporre quelle offerte ai piedi del Buddha. Lungo la strada, incontrò una mendicante che camminava a piedi nudi nella polvere. Uno dei servi del re ebbe pietà di tanta miseria e versò nelle mani della povera donna una piccola manciata di riso. Anche la donna desiderava con tutto il cuore offrire un dono al Buddha, ma non aveva nulla da dargli. All’apparire del re con il suo corteo di elefanti, la folla gli fece largo, abbagliata. Il re ordinò ai suoi uomini di rovesciare il contenuto delle ceste davanti al saggio: mai prima di allora un simile tesoro si era visto brillare sotto il sole.
Buddha fece un cenno al sovrano e lo invitò a sedersi tra i suoi discepoli. Il monarca aspettava, orgoglioso, che il suo gesto generoso gli venisse riconosciuto, ma nessun suono venne a turbare la pace della sera. Subito dopo, la vecchia donna coperta di stracci riuscì a farsi largo fra i presenti e si presentò davanti al saggio. Nella mano tremula stringeva la manciata di riso, che depose con umiltà ai piedi del Buddha. Il saggio la ringraziò e fece tintinnare gioiosamente la campana di cristallo. Indignato, il re si alzò in piedi: come poteva quella misera manciata di riso avere più valore della fulgida montagna di gemme che lui aveva offerto? Buddha prese tra le sue le mani la vecchia donna e dichiarò alla folla in attesa: – Vedo che siete sorpresi. Eppure questa donna è la più generosa. Il re è immensamente ricco, mi ha offerto una parte delle sue ricchezze e io lo ringrazio.
Ma questa donna è povera e ha fame. Questa manciata di riso è tutto ciò che possiede. Il suo piccolo dono offerto con cuore sincero ha molto più valore di un grande tesoro. E il Buddha versò nelle mani rugose della donna due grosse manciate di diamanti.