“Una vecchia leggenda indù racconta che vi fu un tempo in cui tutti gli uomini erano Dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma – signore degli dei – decise di privarli del potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse impossibile trovarlo. Il grande problema fu quello di trovare un nascondiglio. Quando gli dei minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, essi proposero la cosa seguente: “seppelliamo la divinità dell’uomo nella Terra”. Brahma tuttavia rispose: “No, non basta. Perché l’uomo scaverà e la ritroverà”. Gli dei, allora, replicarono: “In tal caso, gettiamo la divinità nel più profondo degli Oceani”. E di nuovo Brahma rispose: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le cavità di tutti gli Oceani, e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie”. Gli dei minori conclusero allora: “Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere – sulla terra o in mare – luogo alcuno che l’uomo non possa una volta raggiungere”. E fu così che Brahma disse: “Ecco ciò che faremo della divinità dell’uomo: la nasconderemo nel suo io più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla”.
A partire da quel tempo, conclude la leggenda, l’uomo ha compiuto il periplo della terra, ha esplorato, scalato montagne,scavato la terra e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che si trova dentro di lui.”
Induismo
Religione tradizionale dell’India, praticata da oltre 700 milioni di fedeli. Con il termine “induismo” si indica convenzionalmente l’intera esperienza religiosa degli indiani nel suo svolgimento storico, fin dalle origini, fissate approssimativamente intorno al 1500 a.C.; l’accezione scientifica del termine, tuttavia, denota come “induismo” soltanto la religione che, praticata dal VI secolo a.C., costituisce l’evoluzione di due fasi anteriori dette rispettivamente “vedismo”, dal nome dei libri sacri, i Veda, e “brahmanesimo”, dal nome degli appartenenti alla casta sacerdotale, i brahmani. L’induismo è definibile come una religione politeistica caratterizzata non solo dalla molteplicità delle figure divine, ma anche dal fatto che i fedeli si distinguono per la loro devozione a un Dio particolare. Tra gli innumerevoli dei, che sono adorati in templi a volte stupendi e immersi nella giungla, i più importanti sono Brahma, il dio creatore dell’universo, Visnu, il dio che conserva nell’essere il mondo, e Shiva, il dio che dissolve tutto. I libri sacri, i Veda, sono venerati da una tradizione che impone di custodirne scrupolosamente l’integrità testuale ma sono stati soppiantati nella loro funzione didattica da un’altra collezione di antichi scritti detta Smrti.Gli induisti credono nella reincarnazione: se un uomo si comporta male in questa vita, dopo la morte, la sua anima torna a vivere in un altro corpo per espiare i peccati commessi : solo chi onora gli dei e si comporta con carità verso gli altri uomini raggiunge la pace eterna. Infatti gli induisti credono che gli dei, in cambio di preghiere e di sacrifici, facciano dono agli uomini del sukhavati, il paradiso di felicità.L’induismo è noto per la rigida divisione della società in classi, – varna – alle quali si appartiene per nascita senza alcuna possibilità di sfuggire alle severe norme di una concezione gerarchica.
Principali divinità induiste
La maggior parte degli induisti crede in un potere supremo, senza forma, detto brahaman. Le principali divinità rappresentano i diversi aspetti del brahaman. Le più importanti sono tre: Brahma (il creatore), Vishnu (il preservatore o protettore)e Shiva (il distruttore). Gli induisti possono venerare un solo dio, molte divinità o nessun dio, ma la maggior parte di essi crede utile avere un’effigie o una statua di un dio da pregare. Vishnu e Shiva sono molto popolari e hanno templi e seguaci in ogni parte dell’India. Oltre alle tre divinità principali, ve ne sono centinaia di altre, alcune venerate in tutta l’India, altre popolari in una sola regione o addirittura in un solo villaggio. Certe famiglie hanno la loro divinità particolare che venerano da generazioni. Di particolare favore godono due divinità: Rama e Krishna, entrambe incarnazione del dio Vishnu, che interviene per salvare il mondo da pericoli estremi, ma sempre attraverso le sue incarnazioni, dette avatara. Nella tradizione classica, queste avatara sono dieci, di cui nove sono già avvenute (sotto forma di animali, Rama, Krishna e, da ultimo, Buddha) e una segnerà la fine dell’epoca attuale. Le divinità induiste sono spesso un misto di bene e di male, di gentilezza e di crudeltà. Per esempio, Parvati, moglie di Shiva,è venerata sia come la gentile dea madre sia come la terribile, sanguinaria Durga, dea della guerra. Un altro dio molto amato è Ganesha, dalla testa di elefante, figlio di Shiva e Parvati. Ganesha protegge i viaggiatori ed elimina gli ostacoli dalla vita della gente. Gli induisti si rivolgono a lui quando accade qualcosa di nuovo, come per esempio un cambiamento di casa.
Luoghi di culto
Molti induisti pregano nei templi (mandir), ognuno dei quali è considerato la casa terrestre di una divinità particolare. In un sacrario nella parte più interna e riservata del tempio è situata una statua della divinità stessa. Gli induisti non hanno servizi rituali nei templi. Alcuni vi si recano quotidianamente, altri solo in occasioni speciali come le feste. Oltre ai grandi templi, agli angoli di molte strade vi sono piccole edicole. Gran parte degli induisti venera gli dei a casa propria, in un angolo destinato a questo preciso scopo, dove può esserci semplicemente una statua o un dipinto della divinità: il culto delle immagini è infatti molto sentito tra tutti i fedeli.
In visita al tempio
Gli induisti si tolgono sempre le scarpe prima di entrare in un tempio e le donne si coprono il capo in segno di rispetto. La visita non ha come unico scopo la preghiera, ma anche quello di avere un darshana (incontro) con la statua che rappresenta la divinità. Si fanno offerte (prasad) di frutta, fiori e incenso, che il sacerdote presenta allq divinità perché le benedica. Dopo di che le restituisce ai donatori e segna le loro fronti con un segno rosso di benedizione, detto tilaha. Questa cerimonia si chiama puja. Successivamente i fedeli girano in senso orario intorno al sacrario interno con la mano destra rivolta verso la statua. È con questa mano che gli induisti mangiano, perché la considerano pura e pulita.
I testi sacri
I più antichi testi sacri induisti sono quattro raccolte di inni, preghiere e formule magiche, i Veda, composti oltre 3000 anni fa. Altri testi importanti sono le Upanishad e due lunghi poemi, il Mahabharata e il Ramayana. Ognuno di questi rappresenta la fonte scritta di differenti scuole e correnti che convivono all’interno dell’induismo. Le Upanishad sono insegnamenti presentati in forma di storie e parabole che i guru (maestri) raccontano ai loro allievi. Il Mahabharata narra di una guerra fra due famiglie reali, i Kaurava e i Pandava, mentre il Ramayana racconta come il dio Rama salvò la propria moglie, Sita, da Ravana, il malvagio re-demonio.
I simboli e le Divinità
Visnù forma, insieme a Brahma e Shiva, la TRIMURTI induista, cioè l’insieme delle tre principali divinità di tale religione. All’interno della Trimurti Brahma è il dio della creazione, Visnù della conservazione e Shiva della distruzione, necessaria per la successiva rinascita. La iconografia classica rappresenta Visnù come un giovane dall’atteggiamento ieratico, in piedi, che reca in mano i suoi attributi principali: conchiglia, ruota, clava e fiore di loto (a volte sostituito dall’arco). La conchiglia (SANKHA) nelle mani di Visnù è un’arma che la divinità utilizza nella lotta contro i demoni, che tremano atterriti quando ne odono il suono. Anche al giorno d’oggi ogni rituale è preceduto dal suono della conchiglia per allontanare i demoni malvagi.
La ruota (CAKRA) rappresenta la ciclicità della vita ma simboleggia anche, essendo di ferro e quindi un’arma terribile, potenza e protezione. La clava è invece un’arma di difesa mentre il loto indica nella divinità che lo porta un alto livello gerarchico e simboleggia la fertilità dell’acqua e del ventre materno. Sul capo ha una corona regale, indossa gli orecchini MAKARA, a forma di rettile, ha sul petto la pietra preziosa KAUSTUBHA e infine è cinto da un cordone sacrificale. In genere gli orecchini indicano che chi li porta è “nato per la seconda volta”, cioè ha sperimentato una rinascita spirituale. Ovvio quindi che per le divinità gli orecchini siano tra gli ornamenti più significativi. Altra rappresentazione di Visnù è quella legata alla creazione del mondo: Visnù NARAYANA (dormiente), in cui il dio appare disteso ed addormentato.
Alla fine di una età del mondo Visnù giace in un sonno contemplativo sul serpente del mondo. Tutto ciò che è stato è racchiuso in Visnù in attesa di manifestarsi.
La prima forma di vita è un loto che esce dall’ombelico di Narayana e produce Brahma, il dio della creazione. Si desta poi Laksmi, la moglie di Visnù, e si apre così una nuova era.
Si tratta della “versione” visnuita della creazione del mondo, in cui la divinità principale è Visnù. E’ lui il vero creatore, Brahma è solamente una sua emanazione.
Visnù, svegliandosi, dà origine ad un ciclo vitale del mondo. Naturalmente i seguaci delle altre divinità principali della Trimurti non condividono questa visione della creazione. Hanno altre versioni alternative, in cui sono le loro divinità ad essere il motore della nuova creazione. Il numero degli avatara principali è dieci ma è’ stato solo attorno al X secolo d.C. che il loro numero è stato così determinato. Ai principali si affianca una pletora d’incarnazioni minori.
I dieci principali avatara di Visnù, una miscela d’incarnazioni animali e umane, sono:
1 – PESCE MATSYA
2 – TARTARUGA KURMA
3 – CINGHIALE VARAHA
4 – LEONE NARASIMHA
5 – NANO VAMANA
6 – PARASURAMA (Rama con l’ascia)
7 – RAMA
8 – KRSNA
9 – BUDDHA
10 – KALKI
Possiamo raggrupparli così:
· leone antropomorfo, nano, Rama, Krsna: incarnazioni in forma umana
· pesce, tartaruga, cinghiale, cavallo: incarnazioni in forma animale
· Parasurama e Buddha: che mostrano comportamenti e insegnamenti particolari
Vediamo in dettaglio i 10 avatara principali:
1. PESCE MATSYA : Questo avatara è la storia del Diluvio Universale in forma indiana. Visnù appare a MANU (l’equivalente di Noè) sotto forma di pesce invitandolo a costruire una grande barca e a metterci dentro una coppia di ciascuna specie animale e i semi di tutte le piante. Durante il diluvio il pesce porta in salvo la barca sulla sommità di una montagna e, come nella versione ebreo-babilonese, Manu capisce che le acque si sono ritirate dopo aver liberato un uccello che non ritorna essendosi posato sulla terra riemersa.
Esistono più varianti sulle modalità con cui il pesce Matsya porta in salvo la barca di Manu. In alcune versioni si trasforma nel timone della barca, oppure la pone sul suo dorso o anche utilizza il suo corno. La versione più antica di questo mito è assai remota; essa è descritta nei Satapatha Brahmana, testi sacri indù che risalgono all’inizio del II millennio a.C.
Spesso questo avatara è rappresentato nella metà superiore come un essere umano con 4 braccia (con gli attributi ruota, conchiglia, clava e loto) e nella metà inferiore in forma di pesce
2. TARTARUGA KURMA : Mentre il primo avatara ricorda l’episodio del Diluio Universale, questa seconda incarnazione presenta molte somiglianze con la Titanomachia, cioè la lotta fra i titani e gli dei. Nella tradizione greca i titani erano le divinità che governavano il mondo, guidati da Crono, prima dell’avvento di Zeus. Questi guidò gli dei nella guerra contro i titani che, sconfitti, vennero precipitai nelle profondità degli inferi. Nella tradizione indiana invece la differenza è che Dei e Asura (i demoni della mitologia indiana) non combattono per acquisire il predominio sul mondo, ma per ottenere il soma (o amrita), la bevanda dell’immortalità. Il soma è andato perduto, insieme a tutte le altre cose terrene e celesti, nel Diluvio narrato nell’episodio del primo avatara.
A seguito del diluvio gli dei avevano quindi perso la loro immortalità e per riottenerla chiesero aiuto a Visnù. Era infatti necessario procedere al “frullamento dell’Oceano delle Elementi”. A tale scopo venne utilizzato il monte Mandara come enorme mestolo e il serpente Vasuki come corda.
Alle estremità di tale particolare corda erano da una parte gli dei e dall’altra i demoni. Visnù si trasformò nella gigantesca tartaruga Kurma che divenne la base su cui il monte Mandara poggiavano. Dal frullamento dell’Oceano emergono le “14 cose più belle del mondo”.
Quando emerse il soma, sorse per gli dei il problema di impedire che se ne impossessassero i demoni. Intervenne ancora Visnù che apparve sotto le sembianze di una splendida fanciulla di nome Mohini. Con la sua bellezza distrasse gli Asura facendo si che, mentre gli dei bevevano il soma, loro bevessero semplice acqua. Pertanto, grazie all’intervento di Visnù nel nuovo mondo sorto dopo il diluvio sono ancora gli dei ad essere gli immortali padroni, e non i demoni.
Questa seconda incarnazione reca i medesimi attributi della prima e come questa è di solito rappresentata metà in forma animale e metà in forma umana.
3.CINGHIALE VARAHA : Anche questo terzo avatara è una allegoria della rinascita della vita sulla terra dopo il Grande Diluvio. La terra era completamente invasa dalle acque in quanto il malvagio demone HIRANYAKSA teneva prigioniera la dea della terra PRTHIVI. Visnù assume le sembianze di un cinghiale, uccide il demone e libera la terra. La rappresentazione di questo avatara mostra il cinghiale Varaha con 4 braccia; due impugnano ruota e conchiglia, una reca in mano la dea della terra, appena liberata, e la quarta è appoggiata su di un fianco. Anche questa rappresentazione è per metà umana e per metà animale, ma presenta una grande differenza rispetto alla precedente. Mentre per le prime due è la parte inferiore ad essere animale, nel caso del cinghiale è animale la parte superiore. Questo perché il cinghiale, come tutti i mammiferi, è considerato, nell’induismo, un animale superiore al contrario del pesce e della tartaruga.
4. LEONE NARASIMHA : Il demone HIANYAKASIPU aveva ottenuto da Brahma , per i meriti acquisiti grazie ad una profonda ascesi, di non poter essere ucciso ne da uomini ne da animali, ne di giorni e ne di notte, ne fuori ne in casa. Divenuto così potente rappresentava un pericolo anche per gli dei, che chiesero a Visnù di intervenire.
Un giorno il demone stava litigando con il figlio PRAHLADA, fervente devoto di Visnù, e stava per ucciderlo. Allora il dio apparve sotto forma di leone antropomorfo (ne uomo ne animale), al crepuscolo (ne di giorno ne di notte), sulla soglia di casa (ne dentro ne fuori) Potè quidni uccidere HIANYAKASIPU sbranandolo. Per questo avatara le rappresentazioni iconografiche sono molteplici. Una delle più comuni è quella in cui Narasimha esce da una colonna per salvare Prahlada e reca nelle 4 braccia gli attributi classici di Visnù (ruota, conchiglia, clava e loto).Come per l’avatara precedente è la parte superiore ad essere animale, e quella inferiore umana, essendo il leone un mammifero, e quindi un animale superiore.
5. NANO VAMANA : BALI, il re degli ASURA, dopo una lunghissima e rigida ascesi, aveva ottenuto il dominio dei tre mondi (cielo, terra e inferno) ed aveva scacciato gli dei dal paradiso. Questi, come al solito, chiesero aiuto a Visnù. Il dio apparve a Bali sotto le spoglie di un nano e chiese che gli venisse concesso uno spazio pari a tre dei suoi passi, per potervi meditare in pace.
Una volta che Bali ebbe acconsentito, si trasformò da nano in gigante. Con il primo passo il gigante percorse la terra, con il secondo il cielo. A questo punto Bali, riconosciuto il dio, gli chiese, come atto di sottomissione, di posare il piede sulla propria testa. Trivikrama (nome del gigante che significa “colui che ha compiuto tre passi”) acconsentì, gli pose il piede sulla testa e, perdonatolo, invece di schiacciarlo, lo spinse negli inferni dove Bali divenne il re.
La iconografia è, per questo avatara, doppia; infatti esiste sia la rappresentazione di Vamana che quella di Trivikrama. Il primo ha due braccia in cui porta un libro, per simboleggiare la sua funzione di allievo, e un vaso o un ombrello per indicare la propria disponibilità ad accettare il regalo (il piccolo pezzo di terra pari a tre dei suoi minuscoli passi da nano) da parte di Bali. Indossa orecchini ed una pelle di antilope.
La rappresentazione di Trivikrama è caratterizzata dalla posizione delle gambe: la sinistra è appoggiata a terra mentre la destra è tesa verso l’alto. Tale posizione delle gambe è solo di questa iconografia e sta ad indicare i passi giganteschi effettuati dal gigante. Se la rappresentazione ha 4 braccia ha i classici attributi ruota e conchiglia (le altre due mani, vuote, possono assumere varie posizioni particolari) mentre se le braccia sono 8 ha anche gli attributi clava, arco e aratro. A volte, attorno alla figura di Trivikrama, sono rappresentati alcuni degli dei (Indra, varuna, Vayu, Brahma, Shiva,…) a cui è stato restituito il paradiso. Queste figure di contorno hanno lo scopo di evidenziare la potenza di questa incarnazione.
6. PARASURAMA (Rama con l’ascia) : E’ la prima delle incarnazioni storiche o proto-storiche. Descrive la lotta per il potere tra le caste dei brahmani e dei guerrieri (KSATRIYA). Secondo alcuni studiosi Parasurama e i due successivi avatara (Rama e Krsna) sono divinizzazioni di eroi umani dei conquistatori arii.
Il casus belli fu il seguente: il re Kartavirya, appartenente alla casta dei guerrieri, andò in visita all’ashram del saggio Jamadagnya, un brahamano. Poiché Jamadagnya, padre di Parasurama, non voleva vendergli la mucca dell’abbondanza SABALA, che poteva esaudire ogni desiderio, al momento di partire Kartavirya la rubò. Parasurama inseguì il ladro e, al termine di un accanito duello, lo uccise. Per vendicare il padre, i figli di Kartavirya uccisero allora Jamadagnya. Questo scatenò la terribile vendetta di Parasurama. Dopo ventuno anni di cruenti scontri praticamente la casta dei guerrieri non esisteva più. La strage fu tale che, per restaurare la casta dei guerrieri, i brahmani furono costretti ad ammogliarsi con le vedove dei guerrieri morti.
Nelle rappresentazioni Parasurama porta la corna intrecciata e una pelle d’antilope. Come attributi ha naturalmente l’ascia e, se ha 4 braccia, anche spada, arco e freccia. Questa incarnazione ha perso nel tempo molta della importanza che rivestiva in precedenza, soppiantata dal successivo avatara.
7. RAMA : E’, insieme alla successiva incarnazione, Krsna, l’avatara più popolare. Rappresenta il re, il figlio, il fratello ideale, mentre la moglie SITA è il prototipo della moglie fedele e devota. Le sue gesta sono raccontate nel Ramayana, un testo epico che ricorda le opere omeriche.
Qui la lotta fra il bene e il male diventa lo scontro tra la civiltà del dharma indù e la barbarie delle popolazioni primitive della penisola. Il mito di Rama descrive, cioè, l’espansione verso sud, a discapito delle autoctone popolazioni dravidiche, della civiltà degli ARI. In breve la storia del Ramayana. Il demone RAVANA, divenuto potentissimo grazie ai premi ricevuti da Brahma per la sua prolungata ascesi, è re dell’isola di Lanka (Ceylon). Si invaghisce di Sita, la moglie di Rama, e la rapisce, rinchiudendola nel suo castello nell’isola. Rama nella sua ricerca è aiutato dal fratello Lakshmana, una incarnazione secondaria di Visnù, e da un esercito di scimmie guidato dalla popolarissima figura di Hanuman. Con il loro aiuto raggiunge l’isola di Lanka grazie ad un ponte di pietra costruito dalle scimmie sue alleate, sconfigge l’esercito di asura, uccide Ravana e libera Sita. Le scimmie simboleggiano le popolazioni autoctone che si sono alleate con i nuovi venuti.
Rama è rappresentato sempre con indosso una corona, riccamente adorno di gioielli; con la mano destra o compio il gesto del fiore di loto o porta una freccia, mentre nella sinistra reca l’arco. Le armi sono simboli della capacità di Rama di distruggere il male. Sita, che come detto rappresenta l’ideale indiano della figura di donna, è venerata come protettrice dell’agricoltura (il suo nome significa solco) Quando è raffigurata assieme a Rama, la sua testa arriva alle spalle del marito. Ha lunghi capelli legati all’indiana con un nodo, 2 braccia di cui la destra pende con eleganza a fianco del corpo e la sinistra o reca l’attributo del loto o è sollevata nel gesto del fiore di loto.
8. KRSNA : Non solo è, insieme a Rama, l’avatara più popolare, ma è anche la divinità indù più amata. Infatti, essendo considerata l’unica incarnazione completa di Visnù, è visto come una divinità a se stante e come tale viene venerata. La sua pelle è di colore azzurro scuro; infatti Krsna significa “il nero”.E’ anche la divinità più riprodotta: le innumerevoli leggende che nel corso dei secoli si sono incentrate sulla sua figura costituiscono il soggetto prediletto di splendide e raffinate miniature e di vivaci e multicolori stampe popolari.
Scopo di questo avatara di Visnù era porre fine al dominio tirannico del re KAMSA che aveva spodestato dal trono di MATHURA, il pio sovrano UGRASEVA. Krsna si incarnò nell’ottavo figlio della principessa DEVAKJ, sorella del re Kamsa. Al perfido Kansa era stato predetto che sarebbe stato ucciso da uno dei figli della nipote Devaki, moglie di Vasudeva. Fece allora uccidere i primi 6 figli maschi della nipote, il settimo fu una femmina mentre l’ottavo, Krsna, fu prodigiosamente salvato dall’intervento degli dei.Questi, infatti, fecero addormentare le guardie del palazzo, permettendo al padre Vasudeva di uscire e portare il figlio Krsna al vicino villaggio di Gokul dove lo affidò a 2 pastori, Nanda e Yasoda. Per raggiungere il villaggio dovette attraversare il fiume Yamuna, le cui acque si erano ingrossate a causa delle recenti piogge monsoniche. Ma miracolosamente le acque su placarono per un istante permettendo ai due di attraversare il fiume senza rischi. Vasudeva poté quindi scambiare Krsna con la bambina che proprio quel giorno Yasoda avevano avuto. Kansa quando apprese che il nuovo figlio della nipote era una femmina si tranquillizzò. Ma la notte, in sogno, una voce gli comunicò che colui che lo avrebbe distrutto era già nato. Ordinò allora che tutti i neonati maschi fossero uccisi.
I due pastori riuscirono a salvare Krsna rifugiandosi in un villaggio nella foresta di VRINDAVANA. E’ questo il luogo teatro delle gesta, a volte straordinarie e sovrannaturali, a volte semplici monellerie, di Krsna bambino. Ancora una volta saltano agli occhi le incredibili analogie con la religione cattolica e in particolare il racconto della Strage degli Innocenti perpetrata da Erode nel tentativo di uccidere il neonato Gesù.
Nei Purana sono minuziosamente raccontate le vicende della fanciullezza e della giovinezza del dio, privilegiandone l’aspetto più popolare. Tra le molteplici avventure la più famosa è quella in cui convinse i pastori di Vrindavana a venerare, invece di INDRA, il monte GOVARDHANA. Quando Indra, infuriato, scatenò una furiosa tempesta, protesse per sette giorni e sette notti i pastori utilizzando il monte stesso come ombrello.
Una volta giovinetto, Krsna iniziò a corteggiare le GOPI (pastorelle) tra le quali la prediletta era RADHA. Il periodo degli amoreggiamenti tra Krsna e le Gopi è il preferito della iconografia del dio.
Krsna compare anche nel famoso poema epico MAHABHARATA. Si tratta dell’opera più lunga che esista al mondo. Si pensi che è composta da oltre 100.000 strofe. Risulta pertanto, per dare un’idea delle sue dimensioni, otto volte più lunga dell’Iliade e dell’Odissea riunite assieme. Questo poema epico è incentrato sulla guerra tra i Pandava e i Kurava, cugini in lotta per il trono. Krsna è il cocchiere di Arjuna, il condottiero dei Pandava. Nel famosissimo brano noto con il nome di Bhagavadgita (letteralmente “Canto del Signore”), Krsna si rivela ad Arjuna e ne diventa il maestro mostrando nella sua chiarezza e interezza il concetto di dharma. Alla vigilia della battaglia decisiva tra gli eserciti dei cugini rivali, Arjuna, grande guerriero ma anche persona dagli alti valori morali, è improvvisamente colto da dubbi sulla giustezza di quello che sta per fare. Infatti nell’esercito nemico moltissimi sono i parenti e gli amici e Arjuna non vuole spargere il loro sangue per acquisire un mero bene materiale come un regno. Interviene allora Krsna che gli mostra come sia giusto agire indipendentemente dai risultati dell’azione, qualunque essi siano. L’importante è che le azioni siano poste in essere senza pensare ai vantaggi materiali che esse possono apportare (principio dell’azione disinteressata). La cosa giusta da fare è sempre, in ogni occasione, qualunque siano le conseguenze, quella dettata, imposta dal dharma, dalla morale della propria casta d’appartenenza.
Arjuna appartiene alla casta dei guerrieri, e pertanto è suo dovere combattere, è il suo dharma, e seguire il proprio dharma, purché, in maniera disinteressata, significa avvicinarsi all’Assoluto. Ma non sempre Krsna appare in questa veste di maestro. Nel Mahabharata la sua personalità appare incredibilmente sfaccettata e composita: a volte è leale fino alla fine, a volte è malvagio, privo di scrupoli e falso. Comunque è sempre abile guerriero e sconfigge nemici sia mortali che divini. Ad esempio Indra, Varuna e lo stesso Shiva escono sconfitti quando si scontrano con Krsna.
Una delle rappresentazioni più diffuse di questa divinità è “Krsna pastore”. Qui il dio suona il flauto traverso fatto con il bambù (detto VENA), con cui ammalia e rabbonisce le bestie feroci. Questa iconografia lo mostra sempre con due braccia, una gamba incrociata sull’altra e la corona regale in testa.
In altre rappresentazioni, che risultano sorprendentemente simili a quelle di Rama, ha a volte quattro braccia. Tra gli attributi è sempre presente il bastone, arma con cui punisce coloro che infrangono la legge, il dharma. Ad esso si possono affiancare ruota, clava e conchiglia.
Dopo innumerevoli avventure e peripezie Krsna, con l’aiuto del fratello Balarama, incarnazione parziale dello stesso Visnù, riuscirà a sconfiggere il tiranno Kansa e a restituire il trono al legittimo re Ugraseva.
9. BUDDHA : Si tratta di una incarnazione storica e rappresenta l’apice del sincretismo indù. Infatti colui che nella sua predicazione aveva tuonato contro i brahmani, additandoli come corrotti e alfieri di false credenze religiose, è inglobato nel pantheon induista.
Come gli Ebrei pongono Gesù Cristo tra i profeti, gli indù pongono Buddha tra le incarnazioni di Visnù, limitandone però nel contempo le caratteristiche di rottura.
Infatti, secondo al visione sincretica indù, Buddha sarebbe venuto sulla terra a predicare coscientemente un falso credo per ingannare gli asura (demoni). Questi, seguendo i suoi falsi insegnamenti si sarebbero convinti che i sacri Veda erano privi di senso, perdendo di conseguenza i loro poteri. Non avrebbero così più potuto danneggiare gli dei.
Nel momento in cui Buddha viene adottato come avatara significa che l’induismo non ne ha più paura avendolo, almeno in India, sconfitto e assorbito.
La iconografia lo vede seduto su una foglia di loto, i lobi delle orecchie sono lunghi ma senza gioielli, la testa è completamente coperta da un corto cappello. Le mani indicano promessa di protezione e esaudimento del desiderio.
10. KALKI : E’ l’avatara che, analogamente al Messia degli Ebrei, deve ancora venire. Il suo arrivo porrà fine all’era attuale (KALÌ-YUGA) introducendo una nuova epoca di purezza, sicurezza e pace. Visnù apparirà su un Cavallo Bianco sguainando la sciabola vendicatrice oppure, secondo altre versioni, sotto forma di dio dalla testa di cavallo.
La sua discesa sulla terra è finalizzata a punire tutti gli uomini malvagi e porrà fine all’epoca attuale. Terminata questa operazione Visnù riprenderà il suo sonno contemplativo sul serpente del mondo per tornare a svegliarsi con l’avvento del felice KRITA-YUGA, l’età dell’oro.
Come il racconto di Matsya ricorda la storia del Diluvio Universale, Kalki ricorda in maniera impressionante l’Apocalisse di Giovanni Anche nel testo sacro cristiano si parla di una società corrotta e malvagia che sarà distrutta dall’intervento divino. Quello che cambia è che la religione cristiana vede nel Giudizio Universale la fine di ogni cosa terrena, la fine dell’unico mondo che è stato e che sarà. Al contrario l’induismo ha una visione ciclica della vita e del mondo. Pertanto la venuta di Kalki non è la fine di tutto ma solo del ciclo attuale del mondo, dopodiché si avrà una nuova creazione.
Tappe della vita
La pratica religiosa di ogni indù è la puja che è un rito di offerte e preghiere che si possono fare sia in casa sia nel tempio. In casa: il rito si fa anche tre volte al giorno. Si usano fuoco e acqua per la purificazione, quindi vengono offerti cibo, incenso, fiori e polveri colorate per l’ornamentazione, generalmente in un angolo dove viene conservata un’immagine della divinità favorita. Durante queste offerte si ripete la formula tradizionale “OM” o “AUM”.
Nel tempio: il rito della puja è più solenne in quanto coinvolge più persone, si offrono burro, cereali, animali, bevande che vengono consumate insieme con i fedeli presenti. Particolare cura è riservata alla statua della divinità che viene unta, vestita, ornata e profumata. Vi sono riti appositi per i diversi stadi della vita dell’uomo: nascita, godimento dei diritti civili, matrimoni, funerale. Il rito meglio conosciuto e maggiormente praticato è il bagno rituale. Ogni mattina le gradinate intagliate sulle rive del Gange accolgono decine di migliaia di indù. Quando i raggi del sole lambiscono l’acqua, ondate di fedeli si gettano nella corrente.
Essi s’inclinano profondamente verso il sole nascente, s’immergono più volte, raccolgono l’acqua nelle mani e la lanciano in aria pronunciando una preghiera. Tutti i gesti esprimono adorazione, lode, ringraziamento, invocazione ed esigenza di essere purificati dalle proprie colpe.La maggior parte delle persone pratica un culto individuale, non attivo in una funzione comunitaria. L’alba e il tramonto sono tra i momenti preferiti.
Il culto comprende suoni vibranti che richiamano la divinità (mantra) e l’offerta di doni (prasad) che simboleggia le antiche pratiche di sacrificio). Lo scopo ultimo è l’offerta del proprio Io per diventare una cosa sola con la divinità. Quindi il divino è riconosciuto in tutti gli esseri viventi.
Le festività religiose
Sono basate sul calendario indù e sono spesso legate ai cambiamenti stagionali. Esse combinano culto e piacere e sono usate per allontanare gli influssi maligni. Le festività principali sono: Holi: in onore di Krishna, originariamente era una cerimonia per assicurarsi il dono della fertilità; si celebra il nuovo anno e il ritorno della primavera. È la festa più popolare perché viene a mancare il tabù della casta e del freno morale, la festa si trasforma in una “abbuffata” di divertimenti e piaceri; Dusserah: viene celebrata tra la fine di settembre e la metà di ottobre, dura nove giorni e celebra il trionfo del bene sul male; Diwali: commemora il ritorno di Rama dall’esilio e celebra l’inizio dell’anno finanziario; cade tra la fine di ottobre e la metà di novembre. È la festa delle luci e dei doni, in onore della dea Lakshmi (o Shri, lo shakti di Vishnu) che porta buona fortuna e visita tutte le famiglie illuminate da una lampada. Inoltre ad ottobre c’è la festa del Dasara : le celebrazioni in onore di Kalì (uno degli shakti di Shiva) durano dieci giorni, con processione, danze e scambi di doni.
L’Uomo
Le caste: vi è una divisione in caste, la condizione della donna, la situazione dei “paria” o intoccabili, la venerazione per la vacca sacra. Oltre alle quattro caste principali (sacerdoti, guerrieri, coltivatori, artigiani), vi sono fino a 3000 sottocaste. È impossibile passare da una casta all’altra. Il matrimonio avviene all’interno della casta stessa. Fuori della casta restano i “paria”. Oltre alla concezione delle caste, abbiamo anche quella dei quattro valori fondamentali che devono trovare spazio nella vita di ogni uomo:
il Kama (desiderio, passione);
l’Artha (benessere, patrimonio, reputazione, successo);
il Dharm (dovere);
il Moksha (liberazione, distacco da tutto ciò che è materiale, salvezza spirituale);
Le fasi della vita: il primo stadio della vita è quello del discepolato da trascorrersi presso un maestro dove si studiano i Veda e le tradizioni popolari e si vive in maniera ascetica. Il secondo stadio è quello della famiglia e della professione. Il terzo stadio comprende le occupazioni e le cose fino a quel momento trascurate. Il quarto stadio è quello dell’eremitaggio e dell’abbandono della famiglia e della casta. Di conseguenza la vita dell’uomo è un fluire continuo, è un passaggio da un’esistenza ad un’altra. È la metempsicosi, o reincarnazione, o trasmigrazione dell’anima che è determinata dai meriti o dalle colpe. La verità e l’Universo: la cosmologia indiana immagina l’Universo diviso in zone, come un diagramma chiamato mandala, una struttura concentrica con un quadrato diviso in diversi quadrati minori intorno alla divinità suprema. La divinità è fonte di ogni esistenza ed è paragonata ad un ragno nella sua tela da cui vengono emanate tutte le cose e in cui tutte le cose sono assorbite. Il mandala collega il mondo degli dei con il tempio. Nella vita di un induista le cerimonie che segnano gli eventi più importanti sono dette samskara. Dieci giorni dopo la nascita vi é la cerimonia del nome; un sacerdote traccia l’oroscopo del neonato che servirà, più tardi, per stabilire una data fausta per il matrimonio. Se il bambino é maschio e appartiene a una delle tre caste superiori, quando avrà circa 10 anni riceverà un filo consacrato: questa cerimonia segna l’inizio dell’età adulta. Il matrimonio induista é celebrato per più giorni con vari rituali. Dopo la morte il corpo dell’induista viene cremato, affinché il sacro fuoco possa portarne l’anima in cielo per rinascere.Nel 1947 l’India ottenne l’indipendenza dal dominio inglese e fu divisa in due parti: l’India, a maggioranza induista, e il Pakistan, a maggioranza musulmana. Seguì un periodo di lotte violente fra musulmani e induisti. Il mahatma Gandhi, il grande leader indiano, si adoperò per la riappacificazione. Ancora oggi si verificano in India scoppi di violenza a sfondo religioso, come ad Ayodhya, dove induisti fanatici hanno distrutto una moschea che essi ritenevano eretta sul luogo di nascita di Rama. I capi induisti e musulmani incoraggiarono però la tolleranza reciproca per garantire la pace.
Un mare di latte ( Fiaba Indù)
Nella religione indù, il mondo è governato da centinaia di dèi e dee. I più importanti sono tre dèi che compongono la trinità, o Trimurti: Brahma il creatore, Vishnu il conservatore, Shiva il distruttore. Brahma, un dio a quattro teste, è il creatore dell’universo e il padre di dèi e uomini. A momenti si addormenta e a momenti resta sveglio. Mentre dorme, l’universo viene distrutto e non esiste. Quando però si sveglia, ecco che crea un’ altra volta l’universo e tutte le cose. E così il ciclo continua, in una successione senza fine di notte e giorno, di distruzione e creazione. Narra la storia che tanto tempo fa, prima che il mondo avesse inizio, non c’era nient’ altro che un fiore di loto di un bianco purissimo, galleggiante in un mare di latte. Fra i suoi petali di seta dormiva profondamente Brahma, il creatore. A parte il fiore, però, non c’era nient’ altro. A un certo punto Brahma cominciò a destarsi. Aprì gli occhi e, quando fu completamente sveglio, si accinse al compito di creare il mondo. Dalle sue lacrime nacquero la terra, l’aria e il cielo. Il suo corpo disteso diventò l’universo, il giorno e la notte, la luce e il buio, e vennero le stagioni secche e i monsoni, il fuoco, il vento e la pioggia. Dalla sua bocca uscirono capre, dai fianchi mucche, dai piedi elefanti, cammelli, cavalli e cervi. I peli del suo corpo divennero fili d’erba, radici e frutti. E infine Brahma creò i Deva e gli Asura, gli dèi della luce e del buio. Ora, il mare di latte conteneva un liquido magico detto” amrita”, l’elisir della vita. Chiunque lo bevesse sarebbe vissuto per sempre. Naturalmente tanto i Deva quanto gli Asura volevano questo liquido tutto per sé. Però l’unico modo per estrarre l’amrita consisteva nel frullare il mare di latte, proprio come si fa per ottenere dal latte il burro o il formaggio, e né i Deva né gli Asura se la sentivano di fare da soli, per cui si misero d’accordo, una volta tanto, per lavorare insieme. Prima bisognava procurarsi una corda e un bastone abbastanza robusti per l’operazione. I Deva ebbero un’idea. «Come bastone per mescolare useremo questa montagna» gridarono, e tirarono giù la grande montagna, il monte Mandara, che sorgeva alta e ripida dal mare di latte. Per non essere da meno, gli Asura annunciarono: «Come corda useremo questo serpente!» ed esibirono il loro reperto: un cobra gigantesco, più lungo di qualunque serpente abbiate mai visto. In effetti non era un serpente ordinario: era Vasuki, il re dei serpenti. Gli Asura arrotolarono il cobra intorno alla montagna, spira dopo spira. Poi lo afferrarono per la testa mentre i Deva lo afferravano per la coda, e cominciarono a tirarlo avanti e indietro, avanti e indietro con tutte le loro forze. Via via che tiravano, il monte Mandara cominciò a roteare dentro le spire del serpente. Vorticava sempre più veloce, così veloce che gli alberi sparsi lungo i suoi pendii si sradicarono e presero fuoco. Per fortuna c’era nei paraggi il dio Indra, che con la pioggia delle sue grandi nuvole provvide a spegnere l’incendio. Ma anche così il pericolo non era scongiurato del tutto. La montagna era tanto pesante che cominciò a perforare la terra come un trapano, minacciando di farla a pezzetti. Allora gli dèi mandarono una tartaruga gigante a sorreggere la montagna, e la terra fu salva. Intanto il mare di latte cominciava a ribollire e spumeggiare: dapprima si formò un colossale gorgo di latte, e poi un burro densissimo. Con gli ultimi residui di energia, i Deva e gli Asura mescolarono un altro po’, e dal mare di latte sorsero il sole e la luna, gemme scintillanti e mille altri tesori, e infine il tesoro più grande: un calice d’oro colmo del prezioso amrita, l’elisir dell’immortalità. Nel frattempo i grandi dèi erano rimasti a guardare con estremo interesse, decisi a farsi avanti all’ultimo momento per impedire agli Asura di bere l’amrita e diventare ancora più cattivi di quanto già non fossero. Così, non appena l’amrita sgorgò dal mare di latte, Vishnu, il conservatore, lasciò il suo punto d’osservazione sul vicino monte Meru, scese sulla terra e afferrò al volo il calice d’oro. Ma prima che avesse il tempo di metterlo al sicuro sul monte Meru, uno degli Asura, un demone di nome Rahu, gli strappò dalle mani il calice e cominciò a bere. Il sole e la luna gridarono a Vishnu: «Quello è il demone Rahu, il peggiore di tutti gli Asura! Devi farlo smettere di bere, o ci saranno sofferenze e disgrazie per tutti noi!» Veloce come un fulmine, Vishnu colpì Rahu sulla testa prima che riuscisse a bere tutto l’amrita. Il corpo morto del demone piombò giù verso la terra, mentre la testa saliva nel cielo, urlando di rabbia e digrignando i terribili denti. Non poteva morire perché l’amrita aveva già raggiunto la gola e aveva dato alla testa il dono della vita eterna. A quel punto esplose una tremenda battaglia. I Deva e gli Asura si scagliarono gli uni contro gli altri, brandendo armi fatte di lampi, montagne ardenti e frecce dalla punta di fuoco. Per due giorni e due notti infuriò la battaglia, finché gli Asura non furono costretti ad ammettere la sconfitta. Migliaia di demoni giacevano morti o moribondi; altre migliaia strisciarono via per andare a nascondersi nei pozzi della terra o nelle profondità del mare. I grandi dèi divisero equamente l’amrita con i Deva, e rimisero al suo posto il monte Mandara. L’unico Asura sopravvissuto per raccontare la storia fu la testa di Rahu, destinata per sempre a inseguire la luna, sua mortale nemica, attraverso i cieli. Lo potete vedere con i vostri occhi: ogni volta che Rahu riesce a raggiungere la luna, se l’inghiotte tutta intera ed essa svanisce dal cielo. Ben presto, però, la luna crescente scappa dalla gola di Rahu e ritorna nel cielo.